Introduzione
I pensieri ossessivi sono un’esperienza comune e spesso debilitante, capace di intrappolare la mente in un circolo vizioso di ansia e preoccupazione. Questi pensieri, che possono emergere in forma di dubbi continui o paure irrazionali, invadono la mente di chi ne soffre, portando talvolta a mettere in pratica compulsioni che sembrano offrire sollievo – ma solo temporaneo. Tuttavia, c’è speranza: esistono soluzioni concrete ed efficaci per riprendere il controllo della propria vita.
In questo articolo, ti parlerò delle cause dei pensieri ossessivi, come si manifestano e il loro impatto sulla vita quotidiana. Inoltre, vedremo insieme alcuni degli approcci terapeutici più efficaci per affrontarli, oltre a esercizi pratici per gestire le ossessioni.
Perché vengono i pensieri ossessivi?
Cause biologiche, psicologiche e ambientali
I pensieri ossessivi possono avere origini diverse e spesso sono il risultato di una combinazione di fattori biologici, psicologici e ambientali.
Dal punto di vista biologico, molti studi scientifici sostengono l’idea che esistano sia fattori genetici che ambientali. Studi su famiglie e gemelli, ci dicono che se un genitore soffre di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), la probabilità che ne soffrano anche i figli, aumentano. Tuttavia, questo non significa che la genetica sia l’unica causa, ma che può predisporre allo sviluppo del DOC. Insomma, che c’è la cosiddetta “familiarità“.
A livello psicologico, le persone con pensieri ossessivi tendono a reagire ai loro pensieri come se fossero pericolosi o minacciosi, e placano quest’ansia cercando di esercitare un controllo sui pensieri stessi o sulle sensazioni. Una caratteristica chiave del DOC è la difficoltà a tollerare l’incertezza. Chi soffre di pensieri ossessivi si sente spinto a cercare certezze in un mondo che, per sua natura, è incerto. Ad esempio, potrebbero sentirsi costretti a controllare ripetutamente se una porta è chiusa, come tentativo di placare l’ansia da un timore: “…e se avessi dimenticato la porta chiusa? E se non avessi ricontrollato bene?”. Queste ossessioni nascono spesso da dubbi irrazionali, che possono sembrare reali perché il cervello, attraverso meccanismi di allarme, reagisce a questi pensieri come se rappresentassero veri pericoli. [1]
Il ruolo di stress, ansia e predisposizioni genetiche
Anche lo stress cronico e l’ansia sono legati a doppio filo ai pensieri ossessivi. Basti pensare che nel vecchio DSM-IV (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), il disturbo ossessivo era classificato tra i disturbi d’ansia. Nel DSM-5 invece, data l’importanza e la prevalenza del disturbo, il DOC ha una categorizzazione a parte.
In buona sostanza, per poter capire questo circolo vizioso del disturbo ossessivo-compulsivo, possiamo usare quest’immagine:
Questo piccolo grafico, raffigura bene il circolo vizioso del DOC, in cui un pensiero ossessivo genera un aumento dell’ansia, che a sua volta può sfociare in una compulsione (che può essere anche solo mentale) e a una conseguente riduzione temporanea dell’ansia. Questo, chiaramente, ci “insegna” che il comportamento ci aiuta (seppur solo temporaneamente), e quindi tenderemo a rinforzare tutto il ciclo ossessivo.
Quando parliamo di pensieri ossessivi, teniamo anche in mente qual è la strategia preferita dalle persone con DOC, ovvero il tentativo di controllo. Questo si manifesta cercando di “non pensare“. Eppure, così facendo, si scade in un paradosso importante, cioè che il pensare di non pensare, equivale a pensare.
In questo modo, insomma, non facciamo altro che rinforzare i pensieri ossessivi.
La Fusione Pensiero-Azione nei Pensieri Ossessivi
Un concetto chiave per comprendere meglio i pensieri ossessivi è la Fusione Pensiero-Azione (in inglese TAF, Thought-Action Fusion). La TAF è la tendenza a credere che i propri pensieri possano influenzare direttamente la realtà o che avere un certo pensiero sia moralmente equivalente a compiere l’azione associata a quel pensiero. Questo fenomeno contribuisce in modo significativo al mantenimento dei pensieri ossessivi, rendendoli particolarmente difficili da ignorare o gestire, rendendoli fonte di maggior ansia.
La TAF Morale è un tipo di fusione pensiero-azione in cui la persona crede che semplicemente pensare a qualcosa di immorale o sbagliato equivalga, dal punto di vista etico, a compiere quell’azione. Volendo fare un esempio concreto, una persona con TAF potrebbe avere un pensiero intrusivo del tipo “potrei tradire il mio compagno” e sentirsi tremendamente in colpa, come se avesse davvero fatto quell’azione. Come puoi immaginare, questo provoca un circolo di ansia e senso di colpa, che porta la persona a cercare di neutralizzare o “riparare” il pensiero attraverso rituali o compulsioni, come chiedere rassicurazioni o pregare.
Un altro tipo di fusione è la TAF di Probabilità, in cui l’individuo crede che pensare a un evento negativo possa effettivamente aumentare la probabilità che questo accada. Per esempio, una persona potrebbe credere che immaginare un proprio caro malato, possa far sì che si ammali davvero. Questo spinge la persona a mettere in atto compulsioni come rituali di controllo o prevenzione, nel tentativo di evitare che il pensiero si realizzi.
La TAF amplifica i pensieri ossessivi, in quanto il tentativo di sopprimerli o controllarli non fa altro che aumentarne la frequenza e l’intensità, generando un ciclo ossessivo-compulsivo. Più la persona cerca di evitare o neutralizzare i pensieri, più questi diventano persistenti e intrusivi.
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La neurobiologia dei pensieri ossessivi
I pensieri ossessivi nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) sono strettamente legati a specifiche disfunzioni neurobiologiche all’interno di reti cerebrali ben definite. Uno dei circuiti principali coinvolti è il circuito cortico-striato-talamo-corticale (CSTC), che include la corteccia orbito-frontale (OFC), la corteccia cingolata anteriore (ACC), il nucleo striato, il talamo e i gangli della base. Questi circuiti governano processi come la valutazione delle conseguenze delle azioni, la presa di decisioni e il controllo delle abitudini motorie. Nel DOC, il malfunzionamento del CSTC porta a un’eccessiva attività in queste aree, che si traduce in pensieri intrusivi e ripetitivi (ossessioni) e in comportamenti compulsivi volti a ridurre l’ansia.
Nello specifico, la corteccia orbito-frontale (OFC), coinvolta nella regolazione del comportamento e nella valutazione delle conseguenze, mostra un’attività anormale nei pazienti con DOC. Questo contribuisce alla difficoltà nel valutare correttamente la gravità dei pensieri ossessivi, spingendo la persona a sopravvalutare la probabilità che i pensieri negativi si traducano in eventi reali. Anche il nucleo striato e i gangli della base sono implicati nel DOC, in quanto regolano i comportamenti abitudinari e motori. Un’attività anomala in queste aree potrebbe spiegare perché i rituali compulsivi si ripetano in modo rigido e meccanico.
Dal punto di vista neurochimico, il sistema della serotonina gioca un ruolo critico. Bassi livelli di serotonina, un neurotrasmettitore che regola l’umore e l’ansia, sono stati associati all’aumento dei pensieri ossessivi e della risposta ansiosa. I farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), spesso prescritti nel trattamento del DOC, mirano proprio a correggere questa disfunzione, riducendo i sintomi ossessivi e compulsivi. Anche il dopamine, un altro neurotrasmettitore, è coinvolto: livelli alterati di dopamina nei gangli della base potrebbero spiegare la rigidità dei comportamenti compulsivi, come il controllo ripetitivo o il lavaggio delle mani.
Un altro elemento neurobiologico emergente è il ruolo del glutammato, un neurotrasmettitore eccitatorio. Studi recenti hanno dimostrato che alterazioni nei livelli di glutammato, in particolare nelle regioni come l’OFC e l’ACC, contribuiscono allo squilibrio tra eccitazione e inibizione che caratterizza il DOC. Questo squilibrio può compromettere la flessibilità cognitiva, portando alla persistenza dei pensieri intrusivi e alla difficoltà nel interrompere i comportamenti compulsivi. Infine, le ricerche di neuroimaging hanno evidenziato riduzioni della materia grigia nell’OFC e un aumento dell’attività nel talamo, suggerendo che anche le anomalie anatomiche, oltre a quelle funzionali, contribuiscono al DOC (Stein, 2019) (Milad & Rauch, 2012).
Cause psicologiche dei pensieri ossessivi
Dal punto di vista psicologico, i pensieri ossessivi derivano da una serie di fattori cognitivi, comportamentali ed emotivi. Il modello cognitivo-comportamentale del Disturbo Ossessivo-Compulsivo suggerisce che i pensieri ossessivi si sviluppano e si mantengono a causa di schemi di pensiero disfunzionali. Le persone che soffrono di DOC tendono a sovrastimare la probabilità che si verifichino eventi negativi e ad attribuire ai propri pensieri un’importanza eccessiva. Insomma, ciò che prima abbiamo definito Fusione Pensiero-Azione (TAF).
Questi pensieri intrusivi causano una profonda ansia, che porta la persona a mettere in atto comportamenti compulsivi per neutralizzare il pericolo percepito o per ridurre l’ansia. Tuttavia, questo ciclo di ossessioni e compulsioni viene rafforzato dal processo di condizionamento operante. Quando la persona esegue una compulsione (come lavarsi le mani o controllare ripetutamente qualcosa), l’ansia diminuisce temporaneamente, rinforzando il comportamento compulsivo. Questo rinforzo negativo rende il ciclo ossessivo-compulsivo più difficile da interrompere e aumenta la frequenza e l’intensità dei pensieri ossessivi.
Le cause dei pensieri ossessivi secondo il modello strategico
Il modello di Terapia Breve Strategica (BST), applicato al Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC), fornisce una prospettiva innovativa su come i pensieri ossessivi si sviluppano e vengono mantenuti. Secondo questo approccio, i pensieri ossessivi non sono solo il risultato di processi interni legati all’ansia o a disfunzioni cognitive, ma sono il prodotto di un sistema percettivo-reattivo disfunzionale che si autoalimenta attraverso tentativi fallimentari di risolvere il problema. In altre parole, non sono i pensieri ossessivi in sé il vero problema, ma piuttosto le soluzioni che la persona mette in atto per cercare di gestirli, le quali finiscono per mantenere o peggiorare il disturbo (Pietrabissa et al., 2016).
L’approccio strategico si concentra sulla comprensione e la modifica delle tentate soluzioni che mantengono in vita i pensieri ossessivi e le compulsioni. Le persone con DOC spesso reagiscono ai loro pensieri intrusivi con rituali che credono possano prevenire eventi temuti o neutralizzare l’ansia. Questi tentativi, come il controllo ripetitivo o il lavaggio delle mani, vengono reiterati poiché forniscono un sollievo temporaneo, creando un circolo vizioso che rinforza l’ossessione. Secondo il modello strategico, questi rituali compulsivi rappresentano una strategia fallimentare per affrontare il problema e diventano essi stessi il cuore del disturbo.
Questo approccio differisce dalla Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), che pone maggiore enfasi sull’esposizione graduale alle ossessioni.
La Terapia Strategica non si limita a spiegare il perché del problema, ma interviene direttamente su come il problema viene mantenuto nel presente. Utilizza tecniche specifiche per interrompere le dinamiche disfunzionali, come la prescrizione del sintomo, che porta la persona a ripetere volutamente il comportamento ossessivo in modo controllato. Ad esempio, a un paziente che controlla ripetutamente le porte può essere prescritto di farlo cinque volte esattamente, né più né meno, fino a quando il rituale perde la sua efficacia.
L’obiettivo è far emergere il paradosso del controllo ossessivo e spezzare il ciclo compulsivo. Questo tipo di approccio permette di affrontare i pensieri ossessivi con interventi pratici e personalizzati che mirano a destabilizzare la logica interna del disturbo, promuovendo un cambiamento rapido e duraturo.
Il modello strategico propone dunque un metodo pragmatico, incentrato sulla modifica delle soluzioni disfunzionali attraverso interventi mirati e “prescrizioni” comportamentali, che gradualmente portano alla distruzione del meccanismo ossessivo. Questo modello si distingue per l’efficacia a breve termine e per l’attenzione all’unicità del paziente, adattando continuamente il trattamento alle specifiche esigenze della persona, con l’obiettivo di ottenere miglioramenti significativi in tempi brevi.
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Perfezionismo e pensieri ossessivi
Che relazione c’è tra perfezionismo clinico e pensieri ossessivi? Iniziamo a dire che gli individui perfezionisti tendono a fissare standard irrealisticamente elevati per sé stessi e a essere estremamente critici verso i propri errori. Questa preoccupazione eccessiva per la perfezione e la paura del fallimento spesso si manifestano in pensieri ossessivi, come il timore di non aver fatto abbastanza bene un compito o di aver commesso un errore che potrebbe avere gravi conseguenze.
Il perfezionismo clinico è stato ampiamente studiato nel contesto del DOC. Ricerche condotte da Frost e Steketee (1997) hanno dimostrato che il perfezionismo è strettamente correlato alla gravità dei sintomi ossessivo-compulsivi, specialmente nelle aree del controllo, dell’ordine e della simmetria. Le persone con alti livelli di perfezionismo spesso sviluppano rituali complessi e ripetitivi per assicurarsi di aver svolto un compito correttamente o per evitare l’errore. Ad esempio, potrebbero controllare ripetutamente documenti o attività per evitare di commettere errori che possano danneggiare altri.
Inoltre, il perfezionismo è strettamente legato a una tendenza chiamata intolleranza all’incertezza. Chi soffre di pensieri ossessivi tende a rifiutare qualsiasi ambiguità o incertezza, cercando costantemente la conferma di aver agito in modo corretto o di non aver commesso errori. Questo bisogno di certezza alimenta i pensieri ossessivi e rende le compulsioni difficili da eliminare. Il perfezionismo, quindi, non solo contribuisce all’insorgenza dei pensieri ossessivi, ma li rafforza, rendendo difficile interrompere il ciclo ossessivo-compulsivo.
Libro sul dubbio ossessivo
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